
Il piccolo dell’uomo rappresenta, non è eccessivo affermarlo, la più interessante forma di vita che mai abbia respirato su questo pianeta.
Indifeso e ignaro dell’uso della parola, il neonato è, tuttavia, provvisto di un sorprendente potenziale di capacità. Programmato da milioni di anni di evoluzione per trasformare i suoi sofisticati genitori in protettori accecati dall’affetto, irradia un’attrattiva irresistibile. Ma fino a quali profondità è possibile addentrarci per capire la sua vera natura?
In quale misura conosciamo veramente il suo comportamento e le sue reazioni di fronte al mondo? Non ci siamo, qualche volta, lasciati sviare da vecchie tradizioni, da idee retrive, che dicono di più sugli adulti che le sostengono che non sui bambini stessi?
È il momento di prendere in esame documenti e testimonianze e di eliminare le sovrastrutture della superstizione, delle storture di moda, dei giudizi che ristagnano nella mente dell’adulto per guardare di nuovo, con occhio scevro da preconcetti, il bambino così com’è. Non è facile. I bambini sono tanto seducenti che è quasi impossibile avvicinarli con obiettività. Un sorriso gorgogliante di saliva su una faccia minuscola può annientare un austero scienziato. Ma se, con uno sforzo speciale, riusciremo a mantenere libera la nostra mente, verranno alla luce realtà affascinanti e una nuova, rivelatrice immagine del mondo del bambino comincerà a prendere forma davanti a noi.
Dopo aver studiato per molti anni gli umani adulti, mi sono proposto di dedicarmi, in questo libro, esclusivamente ai primi dodici mesi della vita umana, il periodo comunemente detto della prima infanzia, nel quale la deambulazione e la parola non sono ancora presenti. Non si tratta di un argomento inconsueto, ma ho cercato di dare una risposta ad alcuni frequenti e stimolanti interrogativi con occhio attento e con un metodo nuovo.
Perché il piccolo dell’uomo entra nel mondo con difficoltà, mentre per le altre specie animali ciò avviene con tanta semplicità? E perché piange tanto di più dei piccoli delle altre specie? Ha una buona vista? Un buon udito, odorato, gusto? A un esame diretto si rivela molto più sensibile al mondo che lo circonda di quanto non si credesse una volta. Come si nutre, come dorme, sogna, gioca? Perché cammina a quattro gambe? Perché lui soltanto, rispetto ai piccoli delle altre specie, piange, sorride e ride? Qual è il suo livello di intelligenza? Può essere stimolato, nella prima infanzia, oppure i suoi progressi devono avvenire secondo un ritmo prestabilito? È vero che appena nato sa nuotare sott’acqua? È vero che la madre, durante il sonno, è in grado di distinguere il pianto del proprio bambino da quello degli altri? E, ciò che più conta, di quanto amore e di quante cure ha bisogno il bambino da parte della madre?
In passato gli adulti hanno spesso considerato erroneamente il bambino come un canovaccio intatto sul quale tutto poteva venire impresso, o come un piccolo, insensibile grumo di carne, quasi incapace di reagire al mondo esterno se non in poche forme essenziali. Un commentatore vittoriano aveva espresso così l’assenza di ogni atteggiamento condiscendente: «Il bambino: una testa pelata e due polmoni». Con lo stesso spirito un prete insensibile aveva definito il neonato «un frastuono assordante e nessun senso di responsabilità».
Noi adesso ragioniamo un po’ meglio. Il bambino è intensamente reattivo all’ambiente fin dal momento della nascita ed è dotato di una grandissima capacità di lanciare appelli atti a stimolare l’amore dei suoi genitori e a intercettare e influenzare il loro comportamento.
A differenza di quanto spesso si ritiene, l’educazione dei bambini piccoli è quasi impossibile. Per tutta la prima infanzia essi rispondono in modo sbagliato a chiunque tenti di punirli o di regolare troppo rigorosamente le loro vite. A meno che i loro genitori non siano stati indottrinati secondo schemi poco opportuni, i bambini sfuggiranno a questo destino. E così dovrebbe essere sempre, perché una prima infanzia custodita, protetta è il fondamento per un’età adulta accompagnata dal successo. Non è contemplabile la possibilità che un bambino sia amato troppo.
Osservare i bambini significa riuscire a vedere il mondo dal loro punto di vista invece che dal nostro. Se arriveremo a pensare come un bambino avremo maggiori possibilità di diventare dei bravi genitori. Questo vale per i padri come per le madri e se i capitoli che seguiranno daranno qualche volta l’impressione che in questo libro sia stato ignorato il ruolo del padre è solo perché, in passato, abbiamo tratto la maggior parte delle nostre informazioni osservando il comportamento materno.
I bambini non solo sanno procurarci una gioia profonda, ma rappresentano anche la nostra immortalità genetica. Se li alleveremo bene saranno loro a condurre nel tempo il nostro progresso genetico. È per la consapevolezza, detta o non detta, di questa continuità, che l’arrivo di un bambino è un avvenimento profondamente gratificante, anche quando non si tratti più di un’esperienza nuova. Come disse Charles Dickens: «Ogni bambino che viene al mondo è più bello di quello che è venuto prima».
A questo punto devo scusarmi se mi riferirò, nel corso del libro, sempre, al «bambino». Se avessi usato ora il maschile ora il femminile mi sarebbe parso di escludere l’altra metà. Il «bambino» va inteso come una definizione impersonale e sono sicuro che la lettura del libro lo confermerà. Scriverlo, ha accresciuto in me il rispetto e l’ammirazione per il più straordinario degli esseri viventi, il piccolo dell’uomo.
citazione dall’ “Introduzione” di: