
Negli ultimi quarant’anni abbiamo imparato sul funzionamento della nostra mente assai più di quanto non fosse mai emerso in precedenza, nel corso di secoli e millenni. Abbiamo compreso il ruolo che hanno le esperienze nello sviluppo dell’intelligenza. Abbiamo appreso che le emozioni rappresentano un aspetto importante della comprensione del mondo: uno strumento indispensabile per entrare in sintonia con gli altri e con noi stessi. Dagli studi di Howard Gardner, abbiamo poi imparato che l’intelligenza non è un tratto unitario ma che esiste una varietà di capacità mentali – linguistica, logico-matematica, spaziale, musicale, sociale, introspettiva, corporeo-cinestesica e forse anche naturalistica – ognuna con la propria rappresentazione neurologica e il proprio modello caratteristico di perdita di funzione, cosicché un tipo di intelligenza può connettersi ad altre forme di intelligenza in un intreccio ricco e complesso, ma anche esserne dissociata e svilupparsi un modo autonomo.
Sulla base delle conoscenze che via via sono emerse, sono state ideate delle tecniche per potenziare sia il pensiero logico-razionale (emisfero cerebrale sinistro) che quello «olistico» (emisfero cerebrale destro) e si è compreso che il disegno e la pittura fanno capo all’emisfero cerebrale destro, in cui si trovano le strutture nervose che regolano il pensiero intuitivo, l’attenzione e la memoria visiva, la rappresentazione spaziale, l’orientamento e la produzione di immagini visive.
A seguito degli studi sulle varie forme di intelligenza e i loro correlati cerebrali, sappiamo oggi che disegno e pittura sono attività umane spontanee e innate, così come lo sono il parlare, il camminare, il giocare, il cantare e il danzare e che, come per altre attività umane, anche per queste lo sviluppo è regolato dalla maturazione ma l’affinamento avviene attraverso la pratica e l’esercizio. Queste attività concrete, inoltre, a differenza del semplice guardare, hanno il pregio di porre la mente in contatto con il corpo e di conseguenza di produrre nel bambino che traccia dei segni su un foglio o realizza delle chiazze di colore una sensazione di profondo appagamento; sensazione che lo stesso bambino non prova quando si limita, per esempio, a guardare delle immagini che corrono su uno schermo o delle produzioni fatte da altri.
Contrariamente a quanti pensano che sia una manifestazione banale e priva di importanza, il disegno infantile è in realtà un processo complesso che richiede l’utilizzo di competenze motorie, percettive e cognitive: competenze che ovviamente non sono presenti alla nascita ma che maturano man mano nel corso dei primi cinque-sei anni di vita. Per rappresentare qualcosa di comprensibile su un foglio bisogna infatti: (a) isolare dei tratti (o delle parti) di una entità complessa a tre dimensioni; (b) riprodurre questi tratti (o parti) accuratamente in sole due dimensioni; (c) relazionare logicamente gli uni agli altri e al tempo stesso muovere la mano sul foglio con attenzione. A queste abilità che si intrecciano, vanno aggiunte l’immaginazione del disegnatore – che sa avvalersi di ciò che ha visto, sentito, osservato, toccato o gustato – e la sua capacità di collegarsi col proprio mondo emotivo interiore, i propri desideri, le proprie paure, le proprie convinzioni o perplessità. Nel trasporre sul foglio, e quindi nel portare «fuori di sé» ciò che ha nella mente o sente in quel momento, il bambino esprime se stesso e comunica con gli altri. Come il gioco, il disegno assolve a svariate funzioni: espressive, socializzanti, di comunicazione e persino terapeutiche perché, «tirandole fuori» e trasferendole su un foglio, il disegnatore può dare una forma concreta, riconoscibile e comunicabile alle proprie preoccupazioni e, nel collocarle sul foglio davanti a sé, stabilire tra sé e loro una distanza di sicurezza. Il disegno in questo caso non è solo espressione dei propri stati interni ma anche un mezzo per controllarli.
Bisogna però che i bambini abbiano il tempo e la tranquillità necessari per giocare con le linee, le forme e i colori, per «tirare fuori» ciò che hanno dentro, per immaginare soluzioni possibili e diverse. C’è bisogno di concentrazione e di pause per progettare, eseguire e portare a termine un disegno. Per poter procedere nel lavoro, il piccolo artista deve fermarsi ogni tanto a guardare e a valutare ciò che sta facendo, cosa deve aggiungere o modificare, se può considerarlo concluso oppure no. Un clima non facile da realizzare quando il televisore baby-sitter resta acceso come rumore di fondo: il piccolo si distrae e la sua attenzione ne risulta frammentata. Se poi è abituato, fin dai primi anni di vita, al ruolo passivo di spettatore e di fruitore dei prodotti altrui, sarà meno motivato a impegnarsi in una attività come il disegno, che ha il pregio di collegare la mente con il corpo, le idee con i movimenti e le emozioni.
Fantasia e creatività richiedono una postura attiva: non solo assimilare ma anche elaborare. In uno studio (Meringoff et al., 1981) fu chiesto a un gruppo di bambini di illustrare con dei disegni una storia raccontata per radio, per televisione o attraverso un libro illustrato. Scopo dello studio era verificare quale tipo di immagini ciascuno di questi mezzi stimolasse. Emerse che la versione radiofonica, fatta soltanto di parole, stimolava i disegni più fantasiosi: i bambini traducevano in immagini una maggiore quantità di contenuti della storia e ne aggiungevano altri. I disegni dei bambini che avevano seguito la versione televisiva e le illustrazioni del libro erano invece aderenti alle immagini, essi trasponevano sul foglio ciò che avevano visto, ma non interpretavano. Le parole senza immagini avevano lasciato ai bambini del primo gruppo maggiore spazio per immaginare le situazioni e i personaggi raccontati e per collegarli secondo il proprio gusto e la propria sensibilità. Poiché in televisione è il flusso delle immagini a «legare» le scene tra di loro, il rischio per i bambini teledipendenti è che perdano l’abitudine di crearsi delle rappresentazioni mentali interne capaci di legare i vari elementi tra loro, di fare delle scelte e di compiere un lavoro mentale autonomo. Questo lavoro mentale autonomo è all’origine di una forma di piacere più evoluto e completo rispetto al piacere semplice e immediato di gioire per ciò che si vede sullo schermo, frutto della mente di altri. La prima di queste due forme di piacere nasce infatti da una creazione individuale che richiede un maggiore coinvolgimento personale e una maggiore «fatica», ma che in ultima analisi è più appagante e produttiva. Da grandi – spiega lo psichiatra ed esperto in media Stéphane Clerget preoccupato del potere di inibizione dell’immaginario che ha una eccessiva esposizione alla tv – i bambini che hanno conosciuto soltanto la seconda forma di piacere, non utilizzano che rappresentazioni mentali prefabbricate, non consumano che beni già prodotti, perdono la nozione di lavoro creativo legata a capacità di immaginazione sviluppate: «un po’ come questa nuova generazione di adulti ipernutriti di televisione che non cucinano, non comprano che piatti precucinati e non hanno ormai che il piacere di inghiottire» (2002, p. 56).
Il disegno, dunque, acquista un’importanza formativa nello sviluppo della personalità per svariati motivi: perché affina l’immaginazione; perché permette di rappresentare e partecipare al mondo circostante; perché consente al disegnatore di proporre quelli che sono i suoi problemi e di comunicarli; ma anche perché disegnando e dipingendo i bambini arrivano a elaborare e a esporre in maniera sintetica, ma non priva di dettagli significativi, le conoscenze che hanno acquisito e i soggetti e problemi che affiorano disordinatamente da più parti del mondo circostante e che loro riescono a isolare e a rappresentare con strutture più organiche. Questa forma spontanea di espressione è dunque anche uno strumento che consente di pensare il mondo e, rappresentandolo, di dargli forma e di mettervi ordine. Per tutti questi motivi i disegni infantili possono essere «letti» dagli adulti, che attraverso una attenta osservazione e con qualche opportuna domanda possono arrivare a comprendere aspetti importanti della crescita, della maturazione, del mondo interiore e dell’ambiente di vita del suo autore.
tratto da “Introduzione” di: